Margherita Hack è il mio portafortuna personale. È con il suo nome, infatti, che inaugurai la collana “I Dialoghi”. E se allora è stata la nostra madrina, oggi è per me una carissima amica, insieme al marito Aldo.
Era l’epoca in cui avevo deciso di concretizzare questa idea di intervistare “personalità” della scienza, facendomi raccontare della loro vita e della loro professione, per poi tirarne fuori delle biografie scientifiche capaci di coinvolgere il lettore comune. Già, perché un fatto scientifico diventa più interessante, se a raccontartelo è uno dei protagonisti e se nel farlo non ti nega l’accesso alle sue avventure personali.
È così che la scienza diventa meno astratta ed entra nel quotidiano. In particolare, m’interessava raggiungere i più giovani, i ragazzi nelle scuole, quelli che alla fine del liceo non sanno che fare della loro vita…
Volevo che la collana, con le sue autobiografie viventi e narrate, diventasse un modo per indicare loro possibili piste da seguire. Rammento che scrivemmo a molte persone, chiedendo di partecipare a questo nuovo progetto editoriale, e Margherita Hack fu una delle poche che rispose e lo fece anche in tempi strettissimi.
Confesso che rimasi molto sorpreso del suo entusiasmo, forse perché il silenzio di tutti gli altri scienziati che avevamo contattato mi aveva demoralizzato. Certo, ero un piccolo editore, ma anche oggi lo sono, eppure libro dopo libro, nome dopo nome, ho messo insieme una vera collana, che vanta numerosi premi Nobel e personalità scientifiche di primissimo piano.
Se allora in pochi rispondevano ai miei inviti, oggi su 40 mail che mando, una trentina torna indietro con una risposta affermativa. Si è innescato il meccanismo del passa-parola e a volte sono gli autori stessi a suggerirmi altri colleghi. Anche Margherita Hack, dopo aver constatato il buon lavoro svolto sulla sua biografia, mi ha dato dei nomi, fra i quali quello di Dennis William Sciama.
Ciò che mi piacque di più, nella risposta della Hack, fu l’audacia e la sincerità con la quale appoggiò il nostro progetto. Disse che le piaceva innanzitutto l’idea di non dover scrivere personalmente, ma di dover solo raccontare se stessa, e aggiunse che ci teneva molto affinché il risultato dell’esperimento fosse una “buona divulgazione scientifica”.
A suo parere, gli scienziati dovrebbero mettere nel conto del loro tempo anche la divulgazione, per aiutare la gente a entrare nel loro mondo, che altro non è se non il mondo di tutti noi, solo che qualcuno a volte lo “fraintende”.
Il pronostico di Margherita Hack
Pronosticò che anche se ero il primo a proporle questo genere di iniziativa, non sarei rimasto l’unico:
“Vedrà in quanti ci si butteranno, appena capiranno che funziona. Probabilmente, dopo di lei, avrò il telefono intasato da editori che mi proporranno libri analoghi o interviste a tema”.
Così è stato. Le buone idee si diffondono, anche se a volte non tutti sono in grado di portarle avanti allo stesso modo. Ricordo che nel fare l’intervista, la prima intervista della collana, mi sentivo come uno scolaretto, tanta era la paura di dimenticare qualcosa d’importante o di non trovare il giusto registro comunicativo, ma Margherita non oppose resistenza alcuna, anche quando continuavo a chiederle, incontro dopo incontro, ancora un po’ del suo tempo, per perfezionare il lavoro.
Anzi, tra noi si era instaurato quasi un appuntamento implicito: ogni volta che veniva a Roma, per recarsi al Ministero della Ricerca Scientifica (Oggi MIUR), passava da noi e vi restava per qualche ora, pazientemente e spensieratamente. Rispondeva con estrema lucidità alle domande – rimasi impressionato dalla sua memoria per i nomi e per le date – e ci dava lei stessa dei consigli.
Aveva l’aria di divertirsi quanto noi. E quando le consegnammo il libro finito, mi guardò in modo compiaciuto e disse: “Potrebbe essere davvero un nuovo modo per far entrare i giovani all’interno del mondo della scienza, e anche di altre discipline”. E così, le proposi un tour attraverso vari licei italiani, per presentare di persona il suo libro.
Ed io ogni volta l’accompagnavo, perché mi piaceva ascoltarla e riascoltarla – si teneva continuamente aggiornata sui nuovi sviluppi scientifici, specialmente quelli che riguardano il suo ambito – e perché era un vero spettacolo vedere i giovani che la circondavano, la inondavano di domande, le chiedevano autografi, mentre lei si lasciava prendere dal loro stesso entusiasmo e invece di parlare per un’ora soltanto il tempo volava.