Per un editore i libri pubblicati sono tanto importanti quanto quelli “mancati”. Mancati perché qualcun altro ci ha preceduti o perché un autore che ci piace molto è temporaneamente indisponibile.
Posso dire, quindi, che John Nash mi è tanto caro quanto ogni altro autore della collana “I Dialoghi”, anche se con lui non ho avuto che un breve incontro, a Roma, e qualche scambio epistolare via email.
Era il marzo 2007 e a Roma era in corso il Festival della Matematica. Sapevo che Nash sarebbe stato tra i relatori e quindi vi andai con l’esplicito proposito di bypassare tutti i contatti mediati che fino a quel momento non mi avevano portato a nulla.
Mi ero premunito di fargli recapitare, presso il suo albergo, due libri della mia collana: Benoit Mandelbrot e Michael Atiyah, ambedue matematici e ambedue presenti al Festival. Avevo accluso anche una lettera nella quale illustravo il desiderio di inserirlo nella medesima collana.
Mentre aspettavo che Nash ultimasse la sua relazione per avvicinarlo, mi si accostò un ragazzone di quarant’anni che, con fare colloquiale, mi apostrofò dicendo: “Io credo di conoscerla, dove ci siamo visti?” Di lì a poco, quando si avvicinò anche una donna, scoprii che stavo parlando con il figlio e la moglie di John Nash. Grazie a loro riuscii ad ottenere il tanto sospirato incontro.
Non mi aspettavo molto – a dire il vero – perché l’avevo intravisto aggirarsi con aria assente e piuttosto stanca, ma quando gli venni presentato si fece improvvisamente attento.
Ricordava il mio nome perché aveva visto i libri che gli avevo mandato. Si dimostrò lusingato dalla mia volontà di coinvolgerlo in un progetto editoriale di “grande qualità”, ma disse anche che Mandelbrot e Atiyah erano molto più giovani di lui e non avevano difficoltà nel reggere i tempi di lunga intervista e delle successive correzioni.
“Io sono un matematico”, aggiunse, “e di quelli molto scrupolosi, che vogliono verificare tutto quello che si scrive, ma purtroppo non ho il tempo, né la forza per farlo“.
Dietro di me si era formata una lunga fila di persone pronte a chiedergli un autografo. Sentivo la possibilità di convincerlo, ma sentiva anche che stava per sfuggirmi dalle mani, finché non mi disse di mandargli comunque una mail: “Non si sa mai cosa ci riserva la vita”. Lo disse con un sorriso cordiale, ma sapevo che si trattava di un modo cortese per declinare l’offerta.