In Italia il giornalismo scientifico vanta pochissimi nomi di grande professionalità e serietà. Uno di questi è sicuramente Pietro Greco. La sua scomparsa è un evento che travalica la perdita di una persona cara. È una perdita umana e culturale collettiva.
Giornalista e grande divulgatore della scienza, di formazione chimico come lo scrivente, Pietro aveva la rara capacità di coniugare intuito – fiutava una storia, un enigma, una scoperta molto prima che si palesasse come tale – dedizione, quando si metteva a lavorare su qualcosa era totalizzante ed enciclopedico, e fluidità, intesa come capacità di rendere semplice e narrativamente avvincente anche le cose più complesse.
Per me, editore, è stata una vera fortuna incontrarlo, e il suo libro Homo, arte e scienza va indubbiamente a colmare un vuoto in materia, con grande competenza e un ricco approfondimento di fonti.
Ecco infatti un’altra dote di Pietro: non scriveva mai di argomenti scontati. Il più delle volte intrecciava ambiti disciplinari e informazioni differenti, creando una vera e propria trama che dalla scienza spaziava nelle arti, nell’economia e in mille altre direzioni, ma senza mai perdere in efficacia e fondatezza.
Il suo amore per la scienza era tale da farsene umile messaggero, oltre che competente maestro per generazioni di giornalisti che con lui si sono formati.
Fondatore, tra le tante altre cose, di Galileo – il primo giornale online di scienza, che negli anni ’90 aveva tracciato il solco della notizia scientifica digitale – conduceva master sulla comunicazione scientifica alla SISSA, all’Università di Padova e in mille altri contesti anche meno formali, ovunque vi fosse possibilità di insegnamento. Non l’ha mai fatto con vanità o da saccente, ma sempre con l’autentica passione di chi non può fare a meno di condividere le cose belle che possiede.
E tutto questo non può scomparire. Continua a vivere nelle persone che da lui hanno imparato un’arte, più che un mestiere.