Confesso che quando ho appreso dell’inclusione di Federico Capasso, il fisico italiano da anni in forze all’Università di Harvard, tra i Clarivate Citation Laureates 2023, la mia prima reazione è stata un po’ vanesia.
Ormai dovrei essere abituato a vedere i nostri autori balzare agli onori della cronaca, ma non riesco a non essere orgoglioso per essere riuscito a capire quanto fosse interessante e promettente il lavoro di questi ricercatori.
Mentre altrove si andava a caccia del nome di grido io ho voluto scommettere su personaggi poco noti, a volte del tutto sconosciuti al grande pubblico. L’ho fatto con Edoardo Boncinelli, con Carlo Rovelli e con Giorgio Parisi.
Per Federico Capasso sono però particolarmente felice perché lo ricordo come una persona molto umile, appassionata e desiderosa di trasmettere agli altri (soprattutto ai giovani) la passione che lo anima nel suo lavoro.
Quando l’ho incontrato, nel 2004, godeva di grande stima a livello internazionale, ma da noi era poco noto.
Come molti altri suoi colleghi, negli Stati Uniti era riuscito a trovare la sua strada, partendo dai prestigiosi Laboratori Bell e diventando suo malgrado uno dei tanti “cervelli in fuga”.
Nel corso delle interviste che abbiamo realizzato per il libro uscito poi nella nostra collana I DIALOGHI, mi raccontò come il suo tentativo di tornare a lavorare in Italia fosse stato un fallimento: non immaginava la mole di burocrazia cui si è trovato di fronte e che da noi continua a essere un ostacolo insormontabile che frena il progresso della scienza. Credo che a un certo punto si sia arreso, visto che ormai da anni lavora con profitto negli States.
È probabile che da noi abbia sofferto un po’ anche quelle rivalità interne che permeano ogni realtà lavorativa e dalle quali nemmeno il mondo della scienza è immune. Mi sono fatto questa idea perché lo ricordo come un grande sostenitore del metodo meritocratico come unico mezzo per uscire dalla crisi culturale che attanaglia ormai il nostro Paese da molti anni.
Ma soprattutto ricordo con piacere la sua grande disponibilità – ogni volta che si trovava a Roma – a recarsi nelle scuole per incontrare gli studenti, i potenziali ricercatori di domani, e raccontare la sua avventura nella scienza.
Tutto è possibile, spiegava, quando c’è preparazione, tenacia e passione. Come altri nostri autori, Capasso era convinto che i giovani sono una platea molto interessata e critica, e si è detto più volte molto soddisfatto di questi incontri. E anche i ragazzi lo apprezzavano, forse perché quella scienza “applicata” appariva loro più vicina, più utile delle teorie e delle leggi fisiche che si insegnano a scuola.
Di fronte alle sue spiegazioni, chiare e ricche di esempi comprensibili, i ragazzi si abbandonavano alla loro “fame” di sapere, ponendo spesso domande interessanti che, ne sono certo, hanno in qualche modo arricchito anche il relatore.
Non so dire se Federico Capasso verrà candidato al Premio Nobel. So di certo che lo ha meritato: il suo laser a cascata quantica trova oggi applicazioni di enorme portata per la scienza, la salute e persino per l’ambiente.
Mi auguro che ciò accada, non solo per lui, ma anche per il prestigio che potrà portare al nostro Paese, al suo sistema scolastico e universitario.
Forse infonderà un po’ di fiducia nei giovani e un maggiore slancio alle istituzioni nel promuovere e supportare la ricerca dei talenti italiani.
Foto concessa da Federico Capasso e tratta dal libro “Avventure di un designer quantico“